"REGINA MADRE" di Manlio Santanelli con la regia di Carlo Cerciello
Napoli Teatro Festival Italia - Teatro
Nuovo di Napoli - dall’8 al 10 giugno 2018
Servizio di Rita Felerico
Napoli – Teatro Nuovo. Un grande letto sospeso fra cielo e terra che man mano, mentre si snoda la trama del testo, viene circoscritto dagli stessi protagonisti da sbarre di legno, a formare una culla/gabbia, uno spazio chiuso e quasi soffocante – nonostante l’abbagliante bianco – sul quale o al di sotto del quale si consuma uno dei rapporti più ambigui, quello fra una madre e un figlio. Regina Madre è un testo che Manlio Santanelli ha più volte visto rappresentare a partire dal 1984, anno del suo esordio, ma questa edizione rivisitata e curata dal regista Carlo Cerciello offre nuove prospettive di lettura, afferma lo stesso autore, una diversa visione di quello che Eugène Ionesco definì un classico del teatro contemporaneo, una versione, questa di Cerciello, accolta con successo dal pubblico del Napoli Teatro Festival l’8 giugno al Teatro Nuovo. Una splendida Imma Villa, sempre bravissima a interpretare il linguaggio emotivo dei personaggi, un poliedrico Fausto Russo Alesi ben immedesimato nelle ferite e nel dramma di Alfredo, il figlio, il quale in un colloquio serrato e finalmente senza veli, rivela le paure, le angosce e gli inconfessati desideri che covano dentro la sua sconfitta esistenziale. Vengono in mente le “situazioni limite" di Karl Jaspers e gli ’esercizi’ filosofici e psicologici attraverso i quali possiamo aprirci alla possibilità di superare i nostri lati oscuri, le nostre ombre : solo percorrendo tutte le strade possibili, immaginando e vivendo interiormente tutte le situazioni senza mentire a se stessi si possono aprire nuove prospettive per il nostro tempo di vita, più libero da pregiudizi e oppressioni.
Si materializza nella lettura di Carlo
Cerciello anche la figura di Lisa, la
sorella più volte nominata nel testo originario dalla madre che, fino ad ora,
non aveva mai avuto una voce. Si inserisce nel dialogo madre/figlio a conferma
di un lessico familiare posto come
coazione a ripetere, un gioco al massacro ripetuto nel tempo, che non
scardinando i meccanismi / topos dei rapporti di relazione – l’incapacità di
crescere, la dimestichezza e il fascino della gestione del potere - portano i protagonisti a scandagliare se
stessi attraverso un gioco di parola che scorre sul filo della bugia, del
travestimento, dello smascheramento intuito, disatteso, rivelato. Due simbolici
manichini al lato del grande letto, un Pinocchio ed una Fata Turchina, rimandano alla fatica dell’essere umani,
all’atteggiamento spavaldo e rituale del burattino nazionale che tanto nasconde
e narra la situazione dell’oggi. Bisogna “uccidere la Madre” e ribaltare il
concetto freudiano o è meglio porsi
nell’ottica di ripensare ad un diverso concetto di ‘grande madre’? E’ probabile
che sia più ‘utile’ superare la lettura
tradizionale che ne ha fatto soprattutto la storia del pensiero
occidentale, relegandola nei
confini della contraddittoria immagine materna donatrice di vita e di morte.
Platone
insegna. Il nostro destino è nella caverna , una caverna- corpo dalla quale liberarci e
nella quale ritornare per liberare chi ne è rimasto imbrigliato. Questa è una
delle funzioni del teatro.
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